Annullamento del provvedimento

L’annullamento, insieme alla revoca e alla sospensione, rientra tra i provvedimenti “di secondo grado”, poiché con essi si incide su atti emanati precedentemente, potendoli modificare estinguere o facendone cessare l’efficacia. Rientra, inoltre, tra gli strumenti di “autotutela“, quando l’annullamento è disposto dalla stessa Amministrazione che lo ha emanato, cioè nell’esercizio di un’attività finalizzata a togliere efficacia a un atto precedentemente che risulti in contrasto con le norme di legge, allo scopo di ripristinare una situazione ingiustamente causata e nell’interesse pubblico.

l’art. 21-octies  della legge 241/1990 (Annullabilita’ del provvedimento) prescrive:”1. E’ annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. 2. Non e’ annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non e’ comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

L’annullamento d’ufficio è disciplinato dall’art. 21-nonies, comma 1, l. n. 241/90 che reca: “1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo. 

Con la sentenza 3940/2018 il Consiglio di Stato ha affermato che perché vi possa essere un annullamento in autotutela dopo 18 mesi non è necessaria una condanna penale in giudicato del privato che ha causato l’errore della P.A: è sufficiente una falsa rappresentazione dei fatti dovuta al privato.

Ricorda il Consiglio di Stato che il legislatore, nel modificare la previsione dell’art. 21 nonies, comma 1, con l’astratto e generale termine ne ultra quem di diciotto mesi, ha innovato la tradizionale regola che rimetteva alla discrezionalità amministrativa, nel rispetto del (sindacabile) canone di “ragionevolezza”, la concreta gestione del limite temporale nella attivazione dei procedimenti di secondo grado in funzione di riesame, facendone con ciò elemento del complessivo e motivato apprezzamento comparativo degli interessi in gioco, variamente ancorati al conflitto tra la ripristinanda legalità dell’azione amministrativa e la concretezza dei maturati affidamenti dei destinatari del provvedimento assunto contra legem.

In sostanza alla logica della discrezionalità si sostituisce la logica di una astratta e generale prevalutazione ex lege degli interessi in conflitto: onde – le quante volte il privato abbia visto rimuovere un limite all’esercizio di facoltà giuridiche già incluse (come in una concessione) nel proprio patrimonio di libertà od abbia, alternativamente, oppure abbia conseguito vantaggi o ausili finanziari in grado di impegnare la programmazione della propria attività economica – alla Amministrazione è concessa bensì la facoltà di rivedere il proprio operato, le quante volte risultasse assunto in violazione del relativo paradigma normativo di riferimento, ma con lo scolpito e ridetto limite temporale preclusivo, superato il quale il ripristino della legalità violata è, con insuperabile presunzione: superati i 18 mesi sono ritenute prevalenti le legittime aspettative private.

Il legislatore, nel prevedere il termine di 18 mesi per l’autotutela, sancisce nel contempo anche la sua non applicabilità nel momento in cui l’adozione del provvedimento ampliativo della sfera privata prefiguri un errore imputabile alla parte beneficiaria (e non alla Amministrazione decidente), mancando in questo caso la meritevolezza di tutela dell’affidamento.

Per tale motivo i 18 mesi possono essere superati in caso di “di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”

Secondo il Consiglio di Stato l’inciso “per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato“ deve essere inteso come riferito al solo caso di falsa dichiarazione.

In definitiva, secondo i giudici di Palazzo Spada, l’art. 21 nonies della l. n. 241/1990 andrà interpretato nel senso che il superamento del rigido termine di diciotto mesi è consentito:

a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale, e quindi una sentenza passata in giudicato.

b) sia nel caso in cui l’(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte.

In questo secondo caso, tuttavia, non è necessaria l’esistenza di una condanna penale passata in giudicato, e si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco.

Se così non fosse, secondo i giudici amministrativi, vi sarebbe un’eccessiva ed ingiustificata restrizione del potere di intervento in autotutela dell’Amministrazione, ispirato, tra l’altro, da esigenze di ripristino della legalità.

In sintesi, si afferma, quindi, che – nell’ipotesi in esame, connotata dal mero riscontro di una falsa rappresentazione dei fatti da parte del privato – l’Amministrazione ben poteva esercitare il potere di autotutela alla stessa conferito dalla legge dall’art. 21 nonies, pur in carenza dell’emissione di una “sentenza passata in giudicato”.

[sf]

LEAVE A COMMENT